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Le ragioni di una scelta

Quando ho deciso di occuparmi direttamente di “cosa pubblica”, cioè di politica, ho pensato come prima cosa che non volevo essere come i politici con cui siamo abituati ad avere a che fare (quanto meno nella maggioranza dei casi, pur senza generalizzare!): una figura, cioè, seduta su di una poltrona intenta a guardare con aria di sufficienza verso il basso, salvo poi sfoderare sorrisi incredibili nel periodo pre-elettorale.
Al contrario, voglio essere TRA la gente, PER la gente, CON la gente. Come nel mio lavoro di medico.
E per far questo, ho accettato di aderire ad un movimento regionale, quello dei MODERATI, fondato dall’Onorevole Domenico Portas nel 2006, in cui, con profondo rispetto per la democrazia praticata, non solo citata per comodo (!), stanno confluendo persone che hanno voglia di impegnarsi in modo serio, onesto, professionale, per la collettività, sempre prestando molta attenzione alle idee ed alle proposte delle persone che ci si rivolgeranno.
Un’utopia? Forse. Noi, però, pensiamo di riportare la politica a scelte condivise, che i nostri candidati faranno proprie e porteranno nelle dovute sedi, in quanto rappresentanti di quei cittadini che a ciò li delegheranno con il loro voto.
E’ verosimile che si tratti di battaglia durissima e difficile, ma le idee, se valide, hanno sempre sfidato e vinto la battaglia contro i contrari e contro il logorìo del tempo.
Siamo indignati. Siamo onesti, seri, armati di buona volontà e di una certa dose di coraggio.
Siamo cittadini uniti sotto una bandiera di speranza, di libertà, di sogno (son certa, realizzabile!) di un futuro migliore, di una società più “sana”, di scelte operate in modo “etico”.
Non siamo però dei Don Chisciotte: è indispensabile essere obiettivi. Lavoreremo con impegno civico come una sorta di associazione laica no profit: per crescere insieme, per vivere meglio, per offrire ai nostri figli una società moderna, europea, liberale in cui possano sentirsi a loro agio, realizzati, partecipi, civicamente vivi. Per riscoprire quei valori che oggi sembrano essersi estinti, per ritrovare la coscienza dell’appartenenza ad una comunità che vogliamo forte, seria, libera, europea.

                                                                                                             dott. Mariella SAPONARA

 

 

Pari opportunità nelle candidature femminili

Torino, marzo 2004

Ho partecipato al Congresso Internazionale svoltosi al Centro Congressi Lingotto di Torino l'11, 12 e 13 marzo dal titolo: "Positiva mente - donne più protagoniste - SALONE INTERNAZIONALE DELLE ELETTE E DELLE PARI OPPORTUNITA'".
Si è tornato a parlare di Pari Opportunità, di Politiche di Genere (femminile, ovviamente), della condizione della donna nei vari Paesi e delle diverse realtà politiche. Ho così appreso (con non poco stupore) che nella graduatoria compilata in base alla percentuale di presenze femminili nei Parlamenti delle diverse Nazioni, l'Italia si posiziona dopo il Marocco e l'Afghanistan (!).
Ho ascoltato voci di molte donne autorevoli (ne cito solo due a titolo esemplificativo: la dottoressa Carla Del Ponte, Procuratore Generale presso la Corte dell'Aia, che si occupa di crimini contro l'umanità, ed il Sindaco di San Paolo del Brasile, quarta città del mondo per numero di abitanti). E, nuovamente, ci si è chiesto come mai in Italia siano sempre troppo poche le donne che si occupano attivamente di politica. E si sono prospettate le possibili soluzioni giuridiche: principio delle "quote" percentuali nelle liste stabilite per legge, collegi maggioritari "binominali" (un candidato ed una candidata), anziché uninominali, liste "a zebra e a cerniera" (per i non addetti ai lavori come la sottoscritta, sistema in base al quale risulterebbero alternati nella lista presentata da ciascun partito il nome di un candidato a quello di una candidata; a "cerniera" volendosi così indicare l'obbligo di alternanza uomo/donna donna/uomo come capolista), ecc.
A questo punto, mi sorgono spontanee alcune riflessioni.
1 - si è mai pensato veramente di conoscere quante donne sarebbero interessate a far politica attiva?
2 - quali sono le priorità che ciascuna di noi, singolarmente, pone nella propria vita?
3 - può una donna accettare di sentirsi quasi una sorta di specie protetta, tanto da aver bisogno di "quote" o di qualche altro meccanismo imposto dalla legge per poter partecipare da protagonista alla vita politica del suo Paese? Ma allora, la questione dovrebbe essere sollevata anche in altri campi (magistratura, medicina, ecc.).
4 - e se un partito non avesse donne in numero sufficiente, con l'eventuale obbligo di candidarne un certo numero, non si correrebbe, forse, il rischio di escludere un potenziale candidato, magari più adatto e/o più motivato?
Sono una donna che ascolta e dialoga anche con altre donne. Sono, come tante, una moglie, una madre, una figlia, una lavoratrice. Sono liberale e rispetto profondamente le idee di chiunque, ma non posso condividere le posizioni di chi vorrebbe farci diventare una casta a sè stante. Noi donne non abbiamo bisogno di soluzioni che per legge ci "favoriscano". Quando ci si iscrive all'Università e si decide di intraprendere una professione che per lungo tempo è stata appannaggio degli uomini (ad esempio, quella del medico, come nel mio caso), non si pensa affatto che sarà difficile perché si è donna: piuttosto, si studia e si cerca di rendere al meglio, come ritengo debba fare chiunque intenda impegnarsi seriamente per qualcosa (e non importa se uomo o donna, giovane o anziano, bianco o nero, ecc.) .
Come cittadina di uno Stato democratico, desidero che le donne (come gli uomini) abbiano la libertà di scegliere se partecipare attivamente alla vita politica oppure no. Semmai, il legislatore, dovrebbe rimuovere quegli ostacoli pratici che rendono più difficile la nostra vita quotidiana (asili-nido e scuole materne con posti insufficienti in molte zone, orari di apertura negozi poco flessibili, promozione di meccanismi che favoriscano il lavoro part-time, ecc,). Come pure andrebbe tutelato il ruolo di chi vorrebbe poter scegliere di stare a casa ed occuparsi della famiglia (non sono poche le persone, e non solo di sesso femminile, che nel tempo mi hanno espresso questo desiderio, peraltro attualmente irrealizzabile per motivi troppo spesso esclusivamente economici. E qui aprirei una lunga parentesi sulle politiche familiari...).
Un politico - uomo o donna che sia - dovrebbe comprendere le necessità delle varie componenti della società in cui lavora (e, sottolineo, lavora). Non occorre essere paraplegici per capire che se i marciapiedi non hanno gli scivoli, all'handicap fisico si aggiunge un ostacolo che lo rende più gravoso! Come non occorre essere donna per capire la solitudine e l'affanno di coloro che lavorando fuori casa, al loro rientro ricominciano con il lavoro domestico, e l'assistenza e la cura dei figli e/o di altri familiari e la "quadratura" del bilancio.
Un partito è una associazione di persone (uomini e donne) accomunate da valori, progetti, idee. E' all'interno di esso che la questione, se si pone, va affrontata. Ed io, nel mio, non mi sono mai sentita "diversa" perché donna. Ne ho mai pensato che in un ambito profondamente "moderato" potesse presentarsi un simile problema. Noi donne siamo, esattamente come gli uomini, parte integrante di una società. Ciascuna di noi deve poter scegliere se mettersi in gioco e partecipare attivamente alla "res publica": liberamente e singolarmente. Senza "protezionismo". E che ciascuna di noi si domandi: "Cosa posso fare per il mio Paese e per il futuro dei nostri ragazzi?". E poi, liberamente, si risponda.

 

 


Dott. Mariella Saponara - Candidata Consigliere regionale - Lista Moderati per Bresso